Il saggio intende mostrare che il fenomeno della sincronicità, come del resto lo stesso quantismo al quale è saldamente connesso, scredita di fatto il modello meccanicista, ossia l’unico modello tutt’oggi ufficiale per l’interpretazione e la descrizione scientifica della realtà e impone un nuovo modello di comprensione che includa necessariamente l’interazione di psiche e materia.
In copertina: Umberto Boccioni, Visioni simultanee, 1911.
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On the Concept of Synchronicity: Jung between Psychoanalysis and Quantism
Lo spazio è l’aureola metafisica dell’ambiente.
L’ambiente la proiezione spiritualedelle azioni umane.
Enrico Prampolini
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Estratto dal saggio
«Il significato della mia esistenza è che la vita mi ha posto un problema. O, viceversa, io stesso rappresento un problema che è stato posto al mondo, e devo dare la mia risposta, perché altrimenti mi devo contentare della risposta del mondo»[1].
L’essenza stessa del filosofare è tutta racchiusa in questa saggia riflessione junghiana: chi non si fa domande sul mondo semplicemente lo subisce; solo il comprenderlo garantisce dignità esistenziale. Jung ha osato farsi domande cruciali, molte delle quali scomode, almeno per il suo tempo, ma è da questa ardente sete di sapere, sigillo di ogni vera filosofia, che la conoscenza scientifica psicologica ha potuto progredire, svincolandosi dalle celebri nevrosi sessuali in cui Freud tendeva a costringerla, con le quali e solo con le quali si pretendeva di spiegare tutta la psiche (un atteggiamento che oggi risulterebbe decisamente riduttivo ma che ai tempi di Jung era preponderante)[2]. A lui il merito della sfida, del coraggio, a costo della pubblica derisione professionale a cui andò incontro a testa alta. Sappiamo che lo psichiatra svizzero addirittura si ritirò per un lungo periodo dal mondo accademico per incompatibilità con l’ambiente stesso; in solitudine continuò le sue ricerche ritenendole di gran lunga più importanti della carriera accademica e della professione in sé[3]. Egli fu lungimirante e subito capì la portata rivoluzionaria delle sue intuizioni.
Jung riprese la sua attività universitaria nel 1933, cioè dopo vent’anni, e nel 1952 uscì il saggio La sincronicità come principio di nessi acausali nel quale egli analizza un fenomeno che subito si impone per la sua straordinaria importanza non solo per ciò che concerne lo studio della psiche ma anche per ciò che pertiene a una ridescrizione della stessa realtà nella sua interezza. Lo scienziato si accorge subito che lo studio della sincronicità è propedeutico alla formulazione di una nuova Weltanschauung che necessariamente includa alcuni assunti fondamentali della fisica dei quanti.
Lo studio dell’alchimia, delle dottrine orientali, dei sogni e dei fenomeni occulti, conducono lo psichiatra svizzero verso una soglia in limine alla quale si staglia imperiosa l’impossibilità del dualismo mente-materia. Tale soglia oscura è ciò che rappresenta il concetto di «sincronicità». «È proprio la sincronicità a rendere possibile il dialogo tra Fisica e Psicologia, dal momento che essa comporta l’entrata di elementi soggettivi nella Fisica (evento esterno) e di elementi oggettivi nella psicologia (stato psichico). A questo punto l’universo finisce per svelarsi in maniera tale che gli eventi soggettivi e quelli oggettivi diventano manifestazioni implicite di uno stesso fenomeno»[4].
«Oggetto della riflessione di Jung è il fenomeno della sincronicità, che secondo la sua definizione è la risultante di due fattori: 1) un’immagine inconscia che si presenta direttamente (letteralmente) o indirettamente (simboleggiata o accennata alla coscienza come sogno, idea improvvisa, presentimento); 2) un dato di fatto obiettivo che coincide con questo contenuto. L’evento esterno può svolgersi fuori della percezione dell’osservatore, ed essere quindi distante nello spazio, o può essere distante nel tempo, può cioè verificarsi in un tempo futuro rispetto al momento dell’evento psichico manifestatosi al soggetto»[5].
Dunque la sincronicità è una sorta di «coincidenza temporale di due o più eventi non legati da un rapporto causale, che hanno uno stesso contenuto significativo»[6]. Le incredibili conseguenze che tale assunto implica sono per certi versi sconcertanti - per lo meno per il modello meccanicista di interpretazione del reale, che era quello vigente in toto a metà Novecento[7] (e che in gran parte lo è tutt’ora): «Se spazio e tempo si dimostrano psichicamente relativi, anche il corpo in movimento deve possedere la relatività corrispondente, o esservi soggetto»[8].
Jung studiò a fondo la «sincronicità» in primo luogo perché mosso da quel profondo e sincero interesse per ciò che varca il fenomenico, in secondo luogo perché non solo i suoi pazienti ma lui stesso fece esperienza di diversi fenomeni sincronici[9], in terzo luogo perché lo psichiatra svizzero condivise questo desiderio di indagine col Premio Nobel per la fisica Wolfgang Pauli, suo paziente e in seguito amico. I due studiosi parlavano linguaggi scientifici diversi che dovettero abdicare di fronte a fenomeni che oltrepassavano la stessa descrittività: un evidente imbarazzo proprio dal punto di vista scientifico - né la fisica né la psicanalisi sapevano raccontare ciò che determinate esperienze mostravano. Le due discipline svelavano un mondo mai visto prima in cui ciò che è materiale non è più distinto da ciò che è psichico e a tale proposito Pauli asserisce:
«Dovremmo ora procedere per trovare un linguaggio neutro o unitario in cui ogni concetto da noi usato sia applicabile sia all’inconscio che alla materia, al fine di superare questa vecchia convinzione che la psiche inconscia e la materia siano due cose separate»[10].
Le categorie del pensiero speculativo di tipo occidentale (specie quelle antecedenti al Novecento) arrancano nello spiegare ciò che è acausale, aspaziale e atemporale. La sincronicità si impone come «quarta forza», un mandala armonizzante in grado di ridefinire, chiarificare e completare una comprensione del reale non più diviso e limitato: «Spazio, tempo e causalità, questa triade della classica immagine fisica del mondo, si completerebbero grazie al fattore di sincronicità in una tetrade, ossia in un quaternio che rende possibile un giudizio complessivo»[11]. Se la realtà presenta fenomeni che trascendono spazio, tempo e causalità questa stessa realtà deve necessariamente essere ri descritta, ovviamente attraverso strumenti più integrali. Jung puntualizza:
«Se tali fenomeni accadono realmente, il quadro razionalistico dell’universo non è valido, perché incompleto. Allora la possibilità di una realtà al di là del mondo fenomenico, realtà in cui regnino altri valori, diventa un problema a cui non si sfugge; e dobbiamo prendere in considerazione il fatto che il nostro mondo – con tempo, spazio e causalità – è in rapporto con un altro ordine di cose (che si cela sotto o dietro di esso), nel quale né il «qui e lì», né il «prima e dopo» hanno un significato»[12].
Lo studio della sincronicità ripropone gli assunti fondamentali della meccanica quantistica: interdipendenza di osservatore ed osservato, non località e conseguente trascendimento delle categorie spaziotemporali, revisione del mind-body problem e, dunque, «illusorietà del reale» e «simpatia universale». Gli ultimi due punti rimandando rispettivamente alla filosofia orientale e a quella rinascimentale italiana, proiettando il fenomeno della sincronicità in un contesto prettamente olistico e di fatto esoterico.
Per l’astrofisico Massimo Teodorani la realtà nella quale viviamo è:
«Una realtà che non può essere definita né soggettiva né oggettiva. Il mondo della materia e quello della mente sono talmente intrinsecamente interconnesse da formare un’unica totalità […]. Eppure questo concetto non è affatto nuovo, ma risale a duemila anni fa quando la tradizione Tantrica del mondo Indù postulava una simile filosofia. In base alla filosofia Tantrica, la realtà non è altro che un’illusione, quella illusione che viene chiamata “velo di maya”. Pertanto il principale errore che noi commettiamo nel non percepire questo velo illusorio è che noi percepiamo noi stessi come separati dal mondo che ci circonda. Questo è un regno in cui le leggi della fisica classica non valgono più, e rappresenta la meta ultima della fisica ma anche il maggiore scoglio: non si riescono ancora a trovare la metrica, il dominio geometrico e gli operatori matematici in grado di descriverlo formalmente»[13].
Roberto Assagioli, richiamando per altro la celebre distinzione gurdjieviana tra uomo dormiente e uomo risvegliato (colui che si ricorda di sé)[14], riflette sullo stesso tema, giungendo a conclusioni analoghe:
«Lo stato di coscienza dell’uomo normale può essere chiamato uno “stato sognante” in un mondo d’illusione: illusione della realtà del mondo esterno quale lo percepiscono i nostri sensi; illusioni prodotte dall’immaginazione, dalle emozioni, dalle concezioni mentali. Riguardo al mondo esterno, la chimica e la fisica moderne hanno dimostrato come ciò che ai nostri occhi appare concreto, stabile, inerte, è invece un turbinare vertiginoso di elementi infinitesimali, di cariche energetiche animate da un dinamismo potente. Perciò la materia, quale appare ai nostri sensi e quale era concepita dalla filosofia materialistica, non esiste. La scienza attuale è giunta così alla concezione fondamentale dell’India, alla antichissima visione spirituale secondo la quale tuto ciò che appare è maya, illusione»[15].
Il fatto che la materia sembri solida e concreta è fondamentale e Capra nel celebre Tao della fisica sviscera ampiamente il concetto:
«Di fatto il confinamento degli elettroni all’interno di un atomo porta a velocità enormi, di circa 900 chilometri al secondo! Queste alte velocità fanno sì che l’atomo appaia come una sfera rigida, proprio come avviene per un’elica in rapida rotazione la quale appare come un disco. E’ molto difficile comprimere ulteriormente gli atomi e ciò da’ alla materia l’aspetto solido familiare»[16].
Tutto ciò richiama necessariamente le Weltanschauungen orientali e a tale proposito Capra asserisce:
«Le due teorie fondamentali della fisica del ventesimo secolo – la meccanica quantistica e la teoria della relatività – ci obblighino entrambe a considerare il mondo simile a quello degli Indù, dei Buddhisti e dei Taoisti, e come tale somiglianza risulti più marcata quando si osservano i recenti tentativi di unificare queste due teorie al fine di descrivere i fenomeni del mondo submicroscopico, cioè le proprietà e le interazioni delle particelle subatomiche dalle quali è costituita tutta la materia. Qui le corrispondenze tra la fisica moderna e il misticismo orientale si fanno addirittura sorprendenti: incontreremo spesso affermazioni per le quali è quasi impossibile stabilire se siano state formulate da fisici o mistici orientali»[17]
Interessanti a tale proposito le parole del Premio Nobel per la fisica Werner Heisenberg:
«Il grande contributo scientifico alla fisica teorica venuto dal Giappone dopo l’ultima guerra può essere un indice dell’esistenza d’un certo rapporto fra le filosofie presenti nella tradizione dell’Estremo Oriente e la sostanza filosofica della teoria dei quanti»[18].
Non solo l’Oriente tuttavia… Nonostante a quel tempo non esistessero possibilità di contatto, saggezza orientale e saggezza occidentale ebbero intuito le medesime verità[19], per Pico della Mirandola il mondo appariva quale corpus mysticum di Dio:
«In primo luogo c’è nelle cose la unità, grazie alla quale ogni cosa è una con se stessa, consiste di se stessa ed è in rapporto con se stessa. In secondo luogo è grazie ad essa [unità] che una creatura viene unita alle altre e infine tutte le parti del mondo formano un solo mondo. La terza e principalissima cosa è che grazie ad essa tutto l’universo è uno col suo creatore come un esercito col suo capo»[20].
La fisica dei quanti sosterrà praticamente la stessa cosa, basti pensare al paradosso EPR messo a punto da Einstein, Rosen e Podolski[21], poi convalidato dal Teorema di Bell. Lo stesso Bohm sostiene che «l’idea classica di un mondo separabile in parti distinte interagenti non è più valido o rilevante. Dobbiamo invece considerare l’universo come un tutto indiviso e senza fratture. Giungiamo così a un ordine radicalmente diverso da quello di Galileo e Newton: l’ordine della totalità indivisa» [22].
Nonostante il meccanicismo dunque, che fisica e spirito si fossero già incontrati era evidente fin da inizio Novecento[23]. I fenomeni sincronici non fanno che aggiungere un ulteriore tassello afferente all’icastico incontro tra fisica e psicologia[24], un «dittico» che nel momento in cui saprà dimostrarsi completamente, provocherà irreversibili e profondissimi sconvolgimenti e non solo in ambito scientifico: «Nel caso della sincronicità siamo di fronte non a una concezione filosofica, ma a un concetto empirico che postula un principio necessario per la conoscenza»[25]. Ciò che caratterizza i fenomeni sincronici va ad inficiare la realtà oggettiva, quotidiana e «materiale» erompendo e sconvolgendo proprio l’orizzonte macroscopico nel quale siamo protagonisti: ci riguardano e ci includono in un periplo concretato quadrimensionalmente.
NOTE:
[1] C. G. JUNG, Ricordi, sogni e riflessioni, tr. it. di Guido Russo, Bur, Milano 2010, p. 375.
[2] Freud fu rivoluzionario e le sue riflessioni sulla sessualità erano per quei tempi decisamente originali e inattuali, Jung però lo fu ancor di più in quanto oltre ad accettare (in un primo momento) tale visione della psiche riuscì a superarla e superando essa superò lo stesso Freud. Quest’ultimo rimase superato mentre Jung, incompreso e inaccettato non solo da Freud ma da tutto il mondo accademico, raggiunse confini inimmaginabili, sia per il suo tempo che per il nostro. Scorse gli stessi limiti della psiche che spalancano un mondo, quello della meccanica quantistica, ancora tutt’ora misterioso: non siamo ancora capaci né a comprenderlo, né a descriverlo. L’unico atteggiamento che ci è consentito provare, per ora, è quello relativo allo stupore, alla meraviglia di un sofisticatissimo ed elegantissimo, seppur ancora non totalmente condiviso, modello di comprensione del reale.
[3] «Nel periodo in cui mi occupavo delle immagini dell’inconscio, presi la decisione di ritirarmi dall’università, dove avevo insegnato per otto anni, a partire dal 1905, come libero docente. […] Così consciamente, abbandonai la carriera accademica, perché prima di portare a termine il mio esperimento non potevo comparire di fronte al pubblico. Sentivo che mi stava accadendo qualcosa di grande, e riposi la mia fiducia in ciò che secondo me era più importante sub specie aeternitatis. Sapevo che avrebbe occupato tutta la mia vita e, pur di raggiungere questa meta ero disposto ad affrontare qualsiasi rischio». C.G. JUNG, Ricordi, sogni e riflessioni, cit., p. 237.
Comprendere il funzionamento della psiche era per Jung ciò che di più importante potesse esistere, anche per ovvie conseguenze sul piano politico-sociale: «Oggi possiamo vedere come mai in passato, che il pericolo che ci minaccia tutti non deriva dalla natura, ma dall’uomo, dall’anima dell’individuo e dalla massa. Il vero pericolo è nell’aberrazione psichica dell’uomo. Tutto dipende dal fatto che la nostra psiche funzioni bene o no: se certe persone perdono la testa, oggi, la conseguenza è il lancio della bomba all’idrogeno!». Ivi, p. 171.
[4] M. TEODORANI, Sincronicità. Il legame tra fisica e psiche da Pauli e Jung a Chopra, Macro Edizioni, Cesena 2011, p. 82.
[5] A. VITOLO, Prefazione a C. G. JUNG, La sincronicità come principio di nessi acausali, tr. it. di S. Daniele, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 175.
[6] Ibidem.
[7] Sappiamo che Jung per molto tempo fu restìo a rendere pubbliche le sue ricerche anche per paura di non essere isolato del tutto a livello accademico, più di quanto già non lo fosse essendosi ribellato all’autorità di Freud, allora indiscutibile. Inoltre, segno di estrema umiltà che fa un onore a un genio del suo calibro, Jung non si sentiva abbastanza preparato in materia, ecco infatti le prime righe della sua prefazione all’opera sulla sincronicità: «Redigendo questo scritto mantengo per così dire una promessa che per molti anni non ho ardito adempiere. Le difficoltà del problema e della sua esposizione mi sembravano troppo grandi; e troppo grande la responsabilità intellettuale, senza la quale un argomento del genere non può essere trattato. Infine mi sembrava troppo inadeguata la mia preparazione scientifica». C. G. JUNG, La sincronicità come principio di nessi acausali, Ivi. p. 181.
[8] Ivi, p. 175.
[9] «Nella mia veste di psichiatra e di psicoterapeuta sono venuto spesso a contatto con i fenomeni in questione e ho potuto in particolare accertarmi della loro importanza ai fini dell’esperienza interiore dell’uomo. Si tratta per lo più di cose delle quali non si parla a voce alta per non esporsi al rischio di un’irrisione sconsiderata. Non ho mai smesso di stupirmi nel vedere quante persone hanno fatto esperienze di questo genere, e con quanta cura si è custodito ciò che è inspiegabile. La mia partecipazione a questo problema ha quindi radici non solo scientifiche ma anche umane». Ivi. p. 182.
[10] Citato in M. TEODORANI, cit.
[11] C. G. JUNG, La sincronicità come principio di nessi acausali, cit., p. 274.
[12] C. G. JUNG, Ricordi, sogni e riflessioni, cit., p. 360.
[13] M. TEODORANI, Bohm. La fisica dell’infinito, Macro Edizioni, Cesena 2006, p. 36.
[14] «Domanda: In che cosa consiste uno stato superiore di essere?
Risposta: Ci sono diversi stati di coscienza.
1)Il sonno, in cui la nostra macchina continua a funzionare, ma funziona a pressione ridotta;
2)Lo stato di veglia, che è quello in cui ci troviamo in questo momento.
Questi sono gli unici due stati conosciuti dall’uomo ordinario.
3)Lo stato chiamato “coscienza di sé”: è il momento in cui l’uomo è presente a se stesso e alla propria macchina. Solitamente, noi conosciamo questo stato soltanto per qualche attimo. Ci sono momenti in cui siete presenti non soltanto a ciò che fate, ma a voi stessi che state agendo. […] Se volete questo possiamo chiamarlo “ricordo di sé”». G. I. GURDJIEFF, Vedute sul mondo reale, Neri Pozza, Vicenza 2003, p. 87.
[15] R. ASSAGIOLI, Lo sviluppo transpersonale, Astrolabio, Roma 1988, p. 77.
F. CAPRA, Il Tao della fisica, Adelphi, Milano 1993, p. 83
[16] Ibidem.
[17] Ivi, p. 19.
[18] W. HEISENBERG, Fisica e filosofia, tr.it. di G . Gignoli, Il Saggiatore, Milano 1961, p. 198.
[19] Il sincretismo è un tratto distintivo della storia delle dottrine esoteriche: la sostanziale affinità concettuale oltre le barriere dei differenti contesti storico-sociali, è proprio ciò che definisce la cosiddetta Filosofia Perenne appunto o Tradizione. Si rimembrino le parole di Zolla: «Sono perfettamente sovrapponibili il bramino praticante e il maestro platonico». E. ZOLLA, Lo stupore infantile, Adelphi, Milano 1994, p. 37.
A tale proposito rimando a due miei saggi: Il pensare nell’assenza del sacro: Elémire Zolla tra filosofia perenne e modernità in «Il pensare», Anno I, N.1, 2012 e Esperienze metafisiche esposte in evidenza: Elémire Zolla e la Tradizione in “Frammenti di Filosofia Contemporanea”, Limina Mentis, Milano 2013.
Sul tema del sincretismo perennialista inoltre non possiamo non citare Guénon il quale afferma: «Circa la dottrina metafisica, in essa solo l’espressione può venire modificata, in un modo che può paragonarsi alla tradizione di una stessa idea da una lingua in un’altra. Quali siano le forme che essa riveste per esprimersi, e nella misura in cui esprimersi è possibile, esiste assolutamente una metafisica unica, allo stesso modo che esiste un’unica verità». R. GUENON, La crisi del modo moderno, tr. it. di J. Evola, Mediterranee, Roma 2003, p. 68.
Si veda inoltre il celebre La filosofia perenne di Aldous Huxley, Adelphi, Milano 2015.
[20] Citato in C. G. JUNG, La sincronicità come principio di nessi acausali, cit., p. 252.
[21] Il paradosso EPR prende in considerazione una semplice particella elementare come l’elettrone non dotata di spin. Se si divide tale particella in due parti, una deve necessariamente avere spin pari a + ½ e l’altra spin pari a – ½. Questo è inevitabile per garantire la legge di conservazione dello spin la quale per somma deve dare zero nel momento in cui si ricongiungessero le particelle.
Ora, se noi lanciamo le due particelle a distanze enormi e modifichiamo lo spin di una delle due, ai fini di garantire la legge di conservazione, l’altra particella deve necessariamente modificare istantaneamente il suo spin. Questa modifica immediata però se da un lato salvaguarda la somma degli spin che deve essere zero, dall’altra viola clamorosamente la teoria della relatività che afferma che un segnale non può viaggiare a una velocità superiore a quella della luce.
In sintesi l’immediato cambiamento di spin della seconda particella è a tutti gli effetti, un evento non locale totalmente non previsto dalla fisica classica la quale non può spiegare questo fenomeno. Esso infatti, induce ad una constatazione fondamentale: in termini quantistici le due particelle non sono divise, sono unite.
[22] D. BOHM, Universo, mente, materia, tr. it. di A. Sabbadini, Red edizioni, Como, 1996, p. 176.
[23] In realtà anche molto prima considerando che l’esperimento delle due fenditure di Young sulla doppia natura della luce (odulatoria e corpuscolare) è del 1803.
[24] «Anche in fisica parliamo di energia e dell<<e sue varie manifestazioni, come luce, calore, elettricità, ecc. La stessa cosa vale anche per la psicologia. Anche qui si tratta in primo luogo di energia, e cioè di valori di intensità, di un più o un meno, e il modo di manifestazione può variare molto». C. G. JUNG, Sogni, ricordi, riflessioni, op. cit. p. 254.
[25] C. G. JUNG, La sincronicità come principio di nessi acausali, cit, p. 274.