E' una sensazione di ondeggiamento che trastulla il mio inconscio, quella che provo di fronte a Noumeni, un lento cullarmi fra le morbide trasparenze di questi versi surreali. Tale stato di coscienza veicola l' emersione d' immagini e impressioni profonde che sono in mio possesso, ma che non possono sublimarsi nella vita ordinaria, non possono esplicitarsi negli abituali riferimenti della quotidianità, né possono manifestarsi nei "luoghi comuni" del vivere apparente, ma solo in questo attimo infinito e sfuggente, l' istante sconfinato della rêverie.
Il "paesaggio sognante" dell' estetica di Bachelard fornisce un' espressione introspettiva più che appropriata per esprimere questa poetica dell' immaginazione, questo lirismo del surreale.
Un attimo raro in cui riconoscersi come esseri strutturati su fondamenta noetiche.
Poste fuori della comune memoria, tali fondamenta o archetipi interiori sono i pilastri ontologici dell' Essere che va a costituire la nostra stessa sostanza: quando esplodono sul confine indecifrabile oltre il limite dell' ordinario cogitare, ecco che il pensiero pensante e l' autocoscienza incominciano ad assumere una loro pertinenza esistentiva. Essi sono il mistero profondo dell' Essere che dalla sua remota nicchia metafisica lascia riaffiorare qualcosa che può essere solo percepito, somatizzato, vissuto. L' inesplicabile in sé.
Tale sensazione di extra-ordinarietà si percepisce di fronte al fenomeno estetico che emerge dalla poesia di Giuliodori e "obbliga" le coscienze senzienti e consapevoli a fare un tuffo nei loro stessi significati originari e archetipici: in questo luogo d' inconscio è possibile l' incontro con quel qualcosa d' indecifrabile al pensiero comune, ma anche impossibile da trascurare.
La "noumenologia" del nostro poeta (e di tutta la creatività artistica) sintetizza questo enigma: c'è un ruolo noumenico nel significato e nel messaggio estetico che traspare evidente dalla bellezza di qualunque tipo, naturale, poetica o plastica? La poesia in sé di Giuliodori ne è sicuramente convinta esplicitando la sensazione di elementi non presenti nel comune mondo naturale: noumeno impossibile da conoscere interamente secondo le leggi intellettive razionali, ma noumeno anche impossibile da ignorare quando si manifesta evidente ai sensi sottili dell' esteta.
La filosofia kantiana del limite, aveva posto un veto al noumeno, ostacolo gnoseologico invalicabile per le capacità umane. Nel dovere morale dell' imperativo categorico tuttavia Kant aveva individuato una scorciatoia per l' infinito, un esplicitazione del sacro che finalmente poteva raggiungerci e tenderci la sua mano ineffabile verso le sfere celesti; nel linguaggio poetico di Giuliodori questo contatto con l' ultra-mondano si tramuta in un imperativo estetico assoluto.
Quella "cosa in sé", posta kantianamente fuori dalla mente del soggetto, diventa protagonista di un mistero che si svolge interamente fuori delle capacità cerebrali individuali: un sentire diverso dal solito, un percepire altro fuori dai comuni riferimenti spazio-temporali che emerge imperioso proprio da un mondo non comunemente visto e da cui cogliere corrispondenze nascoste, misteriose e, a mio parere, noumeniche.
Gli archetipi surreali di Giuliodori sono un' evidente manifestazione del suo "imperativo": come nella legge morale kantiana dalla quale non ci si può sottrarre per arrivare in presenza del noumenico, l' artista sente l' obbligo necessitativo di porre in esistenza la sua creatura potenziale, il "suo" noumeno individuato nei mondi iperuranici dai suoi sensi sottili e dalla raffinatezza della sue percezioni intuitive.
Senza minimamente dimenticare il ruolo esoterico, nascosto ed "occulto" che tali produzioni poetiche rivestono nel percorso creativo dell' artista: l' aspetto alchemico che già era emerso come carattere basilare di un' opera precedente di Giuliodori, Alchimia Surrealista, si esprime in modo evidente anche in queste liriche che degli archetipi hanno la sostanza.
"Solo allora nasce lo stupore, la meraviglia di cui è fatto il reale. E dalla gioia, si trasmuta, si cambia, lo sguardo si fissa, si svuota".
Penetrare i significati ermetici solo del verbo "trasmutare" significa riuscire a porsi in un stato di coscienza in cui la sublimazione dell' Essere si esprime come vero e autentico obiettivo esistenziale; tale poesia della catarsi e lirica del superamento di se stessi, viene a porre il soggetto come in tensione dinamica verso l' acmè ontologico della sua stessa vita: il vero "momento della potenza" dell' idealismo magico di Evola.
Il nostro poeta vuole porre di fronte al nostro sguardo un mondo non fisso e immutabile in cui perdersi in una statica asfissìa, ma una realtà plasmabile e alterabile in cui potersi svuotare e purificare dalle componenti disfunzionali della mente inferiore: "noetici effluvi oltrepassano il senso, deviando il tempo scambiato per vero"; è proprio oltre l' illusione di una realtà scambiata per vera che inizia il percorso interiore della realizzazione del Sé.
Il tempo lineare abbandona il suo valore fondante la realtà e la ciclicità interminabile dell' eterno ritorno dell' identico risuona sia come monito di liberazione per l' uomo imprigionato fra spire di Cronos, sia come sospiro di sollievo, tipicamente ellenico, per una ciclicità temporale che nientifica il nulla. Lo spazio perde ogni riferimento concreto e si disperde tra i flutti della coscienza.
In un mondo siffatto la stanchezza del reale ordinario cede il posto a strutture sovra-razionali che s' impossessano di ogni minimo sospiro creativo dell' artista intento a dar voce e corpo al suo capolavoro: "Quale realtà? Se anche il tempo se n'è andato, quale realtà? Un attimo auratico, chiude gli occhi al volere".
Cristiano Drago
L'imperativo estetico assoluto