Lucio Giuliodori

Il mio iperrealismo analizza una storia surrealista - la si può definire racconto lungo o un romanzo breve, ma a me poco importa – inoltre un critico approssimativo potrebbe liquidarla con un aggettivo secco come impone la sommarietà dei nostri tempi: “particolare!” Mentre per altri dello stesso livello di analisi potrebbe avere: “spunti interessanti!” Una storia scritta da Lucio Giuliodori, che sempre secondo questa critica banale e banalizzante potrebbe essere definito “scrittore non convenzionale”. Di primo tratto ci si dovrebbe chiedere che cos’è la convenzione.

Proverò a rispondere in maniera sommaria: si tratta dell’imposizione di sovrastrutture creatasi nell’umanità durante i secoli. La religione, la filosofia, l’educazione sono state trasformate in convenzioni, utilizzate come sistemi di inquadramento, mentre invece partivano da una ricerca di sublimazione intrinseca e spontanea nell’essere umano. E tale ricerca si è dovuta interrompere dal momento in cui è stata inquadrata. Per fortuna la naturale evoluzione umana è spontanea.

Godo D’Arpeggi è la storia di un pittore sedicenne che in maniera istintiva e con placida incoscienza si contrappone alle convenzioni. Attenzione, non lo fa come tutti i ragazzi della sua età spinto da una foga giovanile priva di senso. Godo D’Arpeggi si pone in modo consapevole a capo della sua sollevazione, poiché perseguendo la via verso l’Übermensch si prefigge la ricerca di sublimazione svincolandosi dai legacci della convenzionalità.

In questo percorso del protagonista troviamo l’influenza degli studi filosofici dell’autore, ma Giuliodori, che è anche educatore, in Godo d’Arpeggi specifica ciò che l’educazione dovrebbe creare: aiutare il genio a liberarsi attraverso le forme artistiche che predilige così da porsi al di sopra della convenzionalità. Quest'ultima invece – dominante poiché fa leva sulle paure e le incertezze dell’umanità – trasforma spesso il superiore in folle e lo intende emarginare.

Dentro la convenzionalità ristagnano i mediocri, vi sguazzano con una istintiva comodità quando assumono posizioni di comando/controllo. Risultano a questi incomprensibili - se non provocatori - un pittore di straordinario talento come Dino Valls, il genio senza tempo di Hyeronimus Bosch e lo stesso Godo d’Arpeggi, essere umano di sedici anni dalla predisposizione superiore rispetto ai suoi preposti educatori.

In Godo d’Arpeggi troviamo l’approccio montessoriano e steineriano che pone attenzione sull’educazione. Tutto parte dall’etimologia di educare, ex ducere, come dice l’autore: tirare fuori ciò che si ha dentro, e non riempire le menti come fossero contenitori vuoti di contenuti altrui, come vorrebbe la banale e approssimativa professoressa Piattumi, educatrice di Godo.

Soprattutto nella realtà e non in una storia surreale, il concetto di ex ducere si è perso di vista ed è anche estremamente difficile perché significa seguire l’intelletto e le capacità di più educandi non livellandoli alla stessa stregua, non uniformandoli; ogni essere umano ha proprie doti, propri talenti e limiti come sostiene Gardner,  autore della teoria delle 7 intelligenze umane. L’educatore come guida, direttore d’orchestra, come diceva Maria Montessori, attraverso la preparazione tecnica, scientifica e spirituale, deve essere una guida, un tramite alla cultura. Solo così emerge l’uomo che c’è in ogni bambino, in ogni ragazzo. Godo D’Arpeggi con la sua arte si ribella alla convenzionalità di una scuola che addirittura tenta di convenzionare l’arte che di per sé è senza limiti.

Riflettendo sulla convenzionalità contemporanea ho dato una lettura profondamente realista al racconto surrealista Godo D’Arpeggi: il protagonista viene allontanato dalla scuola, dalla vita, rischia la follia demente, viene classificato come folle, provocatore dalla convenzionalità che lo circonda. Questo spesso succede, questi sono i mostri che vengono creati dentro i sistemi inquadrati e timorosi dell’evoluzione intellettuale dell’umanità.

Riflettendo sulla convenzionalità contemporanea notiamo anche come nelle arti affiorino e prolifichino stormi di atteggiati che seguono una convenzionalità al contrario, ma che rispettano, loro stessi, degli schemi di mediocrità imposta. Li vogliamo chiamare radical-chic? Non ha importanza. Anche questi mediocri non riescono a interpretare opere come La Vagina Crocifissa oppure a leggere Godo D’Arpeggi non arrestandosi alla banale superficialità che è sovente dettata da una altrettanto banale e mal celata ignoranza e anti passione per l’approfondimento.

Giuliodori è invece un metodico studioso e il risultato della sua produzione letteraria è la miscela tra sue ricerche e le sue passioni: la filosofia, le fisse potentissime, l’esoterismo e la pittura. Già dalla raccolta d’esordio Sogno dunque sono troviamo tali elementi combinati. In questo libro la pittura surrealista è cardine fondamentale come pure le descrizioni dell’abbigliamento di Godo o della sua dimora. Surrealisti anche questi due aspetti, si svincolano dal carattere onirico e diventano sostegno alla struttura del racconto, tanto da farci considerare Godo D’Arpeggi, l’opera più matura dell’autore.

Godo D’Arpeggi è una storia a lieto fine, la conclusione, utopica e surrealista, lascia spazio a quella che dovrebbe essere la scuola di domani. Ma la scuola sta andando indietro e non avanti. Godo ce la fa, non viene emarginato, non è lui che cambia, anzi il mondo intorno a lui muta poiché lo comprende. Purtroppo non è (quasi) mai così e ce lo dimostra l’andazzo generale: in una società città-mondo come la nostra – dove la convenzionalità spesso combinata con l’economia, paga – l’estro, l’arte, la dostoeveskiana ricerca della bellezza (che non si limita solamente a quella esteriore) incute timore. Spaventa le persone brutte, brutte all’interno della loro convenzionalità. Noi stiamo pagando il prezzo di questa bruttezza sommatoria di tanta banalità, superficialità e saccenteria.

 

Diego Mencaroni, Prefazione a Godo D'Arpeggi.


 


 

C'è bisogno di educatori che siano essi stessi educati, spiriti superiori, aristocratici, comprovati a ogni istante, comprovati dalla parola e dal silenzio, culture divenute mature, dolci – non dei tangheri addottrinati che il liceo e l'università offrono oggi alla gioventù come fossero balie di grado superiore.

F. Nietzsche, Il Crepuscolo degli idoli.

Oltre l'educazione convenzionale: Godo D'Arpeggi