L’ekphrasis surrealista e la poesia dell’inconscio.

ABSTRACT




Questo paper intende esaminare un particolare tipo di ekphrasis: l’ekphrasis surrealista. Quest’ultima si differenzia dall’ekphrasis tradizionale in quanto il ruolo dell’inconscio nell’esperienza del processo ekfrastico in questione riveste un ruolo fondamentale.

Il metodo di scrittura surrealista infatti prevede una limitazione dell’uso della parte conscia a favore invece di quella inconscia, questo metodo oltre tutto tramite il medium poetico va a confrontarsi con i contenuti di opere, quelle surrealiste, che, per la maggior parte, mostrano contenuti onirici, quindi inconsci a loro volta. Inoltre, in virtù del concetto junghiano di “inconscio collettivo”, quello che si instaura non è nemmeno un incontro tra due inconsci ma tre.

Questo studio in fine, mette in luce come un’esperienza di questo tipo trascenda la sfera meramente letteraria favorendo l’introspezione e la conoscenza interiore.

 


 

 
 



 

 
 

1. Che cos’è l’ekphrasis

 

Un’ekphrasis è una vivida «descrizione» artistica di un’opera d’arte per mano di un’altra forma d’arte: una poesia o una scultura può rappresentare un dipinto o un brano musicale e viceversa. La forma più comune di ekphrasis consiste tuttavia nella poesia ispirata a dipinti ed è quella che andremo a prendere in esame in questo studio.

La parola ekphrasis deriva dal greco ἐκ (ek) e φράσις (phrásis) e cioé rispettivamente “fuori” e “parlare”, il verbo ἐκφράζειν (ekphrázein) inoltre significa  «proclamare o chiamare un oggetto inanimato per nome».

L’ekphrasis dunque va a rivelarsi quale mezzo retorico mirante a decantare e a volte a cogliere la quintessenza dell’opera d’arte scelta, scelta in quanto particolarmente ispiratrice.

Nella celebre opera L'idiota di Dostoevskij, è presente la famosa descrizione del dipinto Il corpo di Cristo morto nella tomba di Hans Holbein il Giovane. L’autore, attraverso le parole di Rogožin, afferma che il dipinto ha un potere descrittivo straordinario: guardandolo si può perdere la fede, tanto potente è la forza evocativa dell’opera in cui il Cristo non ha più nulla di divino ed è ridotto ad un martoriato cadavere umano, troppo umano appunto[1]. Questa parte del libro è ufficialmente riconosciuta come un’ekphrasis.

Il potere descrittivo dell’ekphrasis può a volte essere addirittura superiore a quello dell’opera stessa come nel caso sovra citato e in questo senso assumere vita propria seppur legato all’opera che l’ha ispirato.

In ogni modo, va da sé che la sinergia tra le due forme d’arte è determinante: più è profonda, migliore è il risultato finale in termini di espressività.

Ciò che si vuole qui significare è che in virtù di una penetrazione particolarmente riuscita l’ekphrasis può addirittura a cogliere significati o strati di significati estranei perfino all’artista stesso che nel momento dell’ispirazione ha creato un qualcosa che potrebbe sfuggire a lui per primo. Qui ovviamente rientra la celebre lettura dell’artista quale tramite, quale “catalizzatore” di energie superiori, invisibili, iperuraniche, lontane dal mondo stesso dell’artista ma da lui captate nel momento auratico dell’ispirazione. In un’intervista, Franco Battiato afferma: «Ho capito col tempo che l’ispirazione è soprasensibile. E’ successo anche per La cura. «Senti» che qualcosa di superiore ti arriva, ti attraversa»[2].  E ancora, in un’altra intervista: «E’ qualcosa che ti arriva. Tu, in questo caso, sei solo un mezzo di comunicazione tra due mondi»[3].

Ecco che in questo senso il compito e il valore dell’ekphrasis diventa essenziale quale tramite dell’incontro tra i due mondi.

L’ekphrasis dunque va a delinearsi come uno strumento d’azione avente una duplice funzione: è allo stesso tempo ispirazione e “descrizione”. Quando un poeta ammira un dipinto, quest’ultimo gli ispira nuove idee, immagini, concetti che, proprio nel momento esatto di questa ispirazione, vengono subitaneamente tradotti in parole. È un processo artistico fulmineo che rievoca la definizione di poesia di Bachelard: “la poesia è metafisica istantanea”.

L’ekphrais dunque non è, come invece viene comunemente intesa, una semplice “descrizione tout court”[4], è piuttosto uno strumento molto sofisticato che connette mondi ulteriori e che conferisce al poeta o all’artista in generale una funzione molto nobile sul piano della conoscenza di sé.

La celebre Ode su un’urna greca di John Keats, potrebbe certamente essere considerato un grande esempio di ekphrasis: “Bellezza è verità, verità bellezza, - questo solo / Sulla terra sapete ed è quanto basta”. Questi versi in realtà non descrivono l’urna, quanto piuttosto ciò che essa evoca nella mente dello scrittore; il poeta è colpito da un oggetto che ruba parole alla sua sensibilità. Il processo creativo ekphrastico mette in relazione due diversi mondi interiori, quello dell’artista che ha creato l’opera e quello del poeta che la decanta.

 

 

 

 



2. Tra conscio e inconscio: l’ekphrasis surrealista.



Un interessante variante di ekphrasis è costituita dall’ekphrasis surrealista, ossia un componimento poetico o letterario ispirato ad un’opera surrealista (solitamente un dipinto) scritto attraverso un metodo surrealista.

Ma andiamo con ordine. Le opere surrealiste nascono proprio come tentativi di decifrare il mondo dell’inconscio, il mondo onirico infatti è quello principalmente pitturato, mostrato attraverso la tecnica della giustapposizione ossia dell’accostamento di due elementi appartenenti a due contesi diversi, pensiamo ai celebri ometti con la bombetta di Magritte sospesi tra i tetti degli eleganti palazzi belgi (Golconde, 1953) o l’altrettanto celebre bicchiere gigante nel bel mezzo di una valle(La corde sensible, 1960). Di giustapposizioni l’arte surrealista è piena e lo è perché sono proprio esse a presentare spesso la scenografia dei sogni.

Un’opera surrealista dunque è solitamente un’opera che mostra i contenuti dell’inconscio dell’artista il quale con determinate tecniche è entrato in contatto con essi, li ha visti[5] e li ha poi dipinti.

Questo tipo di dipinti sono solitamente molto provocatori, sappiamo infatti che nell’inconscio risiedono elementi che potrebbero non piacerci e che in effetti sono solitamente censurati dal conscio il quale però non può nulla nel momento del sogno dove essi si propongono senza censura alcuna, ecco perché il dipingerli può essere spesso molto disturbante per lo spettatore che spesso e volentieri ne rimane dunque colpito. Così colpito da poter scrivere un componimento poetico. Quale il motivo di questa scelta? Esso potrebbe risiedere nel fatto che alcuni contenuti inconsci dei pittori appartengano anche al poeta il quale in qualche modo li riconosce e sente l’impulso a fotografarli, attraverso lo strumento a lui più proprio, ossia il verso.

Il motivo per cui questi contenuti possano essere familiari o addirittura comuni verrà spiegato nel prossimo paragrafo e pertiene al concetto di inconscio collettivo; per ora vediamo invece come avviene l’elaborazione poetica tout court.

Scrivere in modo surrealista significa limitare l’interferenza del conscio, secondo appunto i moniti del Manifesto surrealista[6], significa cioè attivare quello che viene comunemente descritto come flusso di coscienza. Esso si attiva per via  della suddetta familiarità dei contenuti inconsci che mette appunto in relazione l’inconscio del poeta e quello del pittore attraverso una sorta di connessione archetipica, un matrimonio alchemico[7] tra due sposi che danno vita appunto a un figlio: la poesia. Non una semplice poesia però quanto un’opera d’arte nata dalla visione di un’altra opera d’arte.

Ciò che interessa in questa sede è l’elaborazione del componimento, un vero e proprio esercizio surrealista (e quindi un'esperienza surrealista) che elude l’azione del conscio o che comunque la limita il più possibile. Sia nella fase d’ispirazione che in quella di elaborazione poetica, l’azione del conscio è ridotta e ciò garantisce un contatto più profondo con i contenuti inconsci del pittore. Ovviamente non si tratta di essere in trance o in uno stato alterato di coscienza, si tratta semplicemente di impedire alla mente cosciente di interferire, evitare che sia totalmente coinvolta.

La fase di ammirazione dell’opera è strettamente connessa a quella d’ispirazione, la quale a sua volta è strettamente connessa a quella dell’elaborazione di cui ne è la logica, naturale e istantanea conseguenza. Ammirazione, ispirazione ed elaborazione sono tre fasi che diventano una nell’ekphrasis surrealista, questa una delle sue precipue caratteristiche.

Spesso per un poeta è perfino difficile fare in tempo a scrivere tutto ciò che l’opera evoca, tanto copioso è il contenuto evocativo, lo scrittore inoltre, essendo in uno stato semi-meditativo (ossia non interamente mediato dal conscio) è molto più ricettivo.

Il conscio opera da barriera, tanto razionale quanto a volte morale e culturale, l’ekphrasis surrealista però elude tanto le interferenze logiche che quelle morali e culturali, ciò che viene scritto di getto non è mediato dalla ragione e da un’elaborazione intellettuale, richiama piuttosto la precedente citata definizione bachelardiana.

 



 

 

3. L’inconscio collettivo

 

Jung non si interessò molto di avanguardie, era per lo più legato all’estetica romantica (Shiller e Goethe soprattutto ma anche Nietzsche), e non lo era nemmeno Freud tra l’altro che snobbò di fatto tanto il movimento surrealista quanto lo stesso fondatore, ossia Breton. Tuttavia ai fini di questo lavoro, le teorie di Jung ci serviranno per avanzare un’ipotesi di ricerca.

Lo psichiatra svizzero, partendo dagli studi sulla natura dell’inconscio avviati da Freud e ampliandone di gran lunga la portata, si addentra, anche in virtù dei suoi interessi esoterici, in ciò che l’inconscio stesso lo trascende, ossia un inconscio esistente al di là degli inconsci singoli ma che, in virtù della sua natura metafisica li ricomprende a sua volta, l’inconscio collettivo appunto, nel quale risiedono anche i singoli inconsci individuali.

Jungs dichiarò: “Uno strato più o meno superficiale dell’inconscio è senza dubbio personale. Lo chiamo l’inconscio personale. Ma questo inconscio personale poggia su uno strato più profondo, che non deriva dall’esperienza personale e non è un’acquisizione personale ma è innato. Questo livello più profondo che io chiamo l’inconscio collettivo. Ho scelto il termine “collettivo” perché questa parte dell’inconscio non è individuale ma universale”[8] .

Jung come si sa è arrivato alla formulazione di questo concetto riscontrando la realtà di archetipi ricorrenti durante le analisi d’innumerevoli pazienti, i quali appunto riscontravano la visione di concetti di natura perenne, ricorrenti appunto nella storia dell’umanità in sé. Questo concetto tuttavia

Franco Manzoni afferma: “Arte e psicoanalisi s’incrociano là dove non esiste ancora la distinzione tra reale e fantastico, semmai pura energia dell’inconscio. A questa fonte attinge il poeta, al proprio inconscio e a quello collettivo, per creare e giungere a far risuonare dentro di sé la parola primigenia, affinché, per via emozionale, questo processo possa in seguito ripetersi nel lettore o nell’ascoltatore. Di conseguenza la poesia può diventare inconscio, capace di dire solo l’indicibile”[9].

Questo dunque il tema centrale: non si tratta di due singoli inconsci differenti che entrano in contatto tra loro ma addirittura di tre inconsci, due singoli e differenti e uno comune, collettivo appunto che agisce da base archetipale, da presupposto ontologico.

La conseguenza per il tema in questione è la seguente: nel momento ekfrastico surrealista l’inconscio del poeta è in grado di andare più a fondo e connettersi con quello del pittore dipinto nell’opera in virtù di un terreno comune su cui i due inconsci entrano in contatto.

Questo contatto è l’ekphrasis stessa, l’ispirazione-intuizione e la conseguente traduzione verbale. Ma questa ispirazione-intuizione avviene su un piano semi conscio appunto. Il poeta in sostanza riesce a decifrare l’inconscio del pittore anche in virtù dell’ausilio dell’inconscio collettivo che agisce proprio da supporto sostanziale e contenutistico. Detto altrimenti, se un poeta riesce ad intuire e cogliere significati dell’opera nascosti perfino al pittore stesso è perché quei significati appartengono ad una sfera comune inerente appunto anche al poeta stesso e di cui il pittore non ne era (nel momento della pittura degli stessi) pienamente cosciente. E’ il poeta tramite la sua azione ekfrastica che riesce a riportarli sul piano cosciente.

Nell’opera Psicologia e poesia, Jung scrive: “Ho considerato qui, come ho già detto, il caso di un’opera d’arte simbolica, e per di più, di un’opera d’arte le cui origini non sono da cercarsi nel “subconscio personale dell’autore”, ma in quella sfera della mitologia inconscia, le cui immagini primordiali sono proprietà comune dell’umanità. Ho per questa ragione definito tale sfera col termine di inconscio collettivo”[10].

E’ proprio in virtù di questa “proprietà comune dell’umanità” che il simbolismo di alcune opere può essere talvolta colto con particolare profondità.

Ne La psicologia dell’inconscio Jung è ancora più perentorio e spiega  chiaramente come un singolo inconscio personale, proprio in virtù dell’ispirazione artistica riesca a connettersi a quello collettivo, e come tale connessione sia appunto l’approdo ad una “nuova dimensione”, lo psichiatra svizzero parla addirittura di morte e rinascita in relazione al passaggio (immersione) dal personale al collettivo: “L’inconscio, affondato nella struttura del cervello, che svela la sua presenza vivente solo attraverso la mediazione della fantasia creatrice, è l’inconscio sovrapersonale. Esso si anima nell’uomo dotato di facoltà creative, si rivela nella visione dell’artista, nell’ispirazione del pensatore, nell’intima esperienza del mistico. L’inconscio personale, immanente nell’intera struttura cerebrale, è come uno spirito onnipervadente, onnipossente, onnisciente. Conosce l’uomo qual è stato da sempre, non qual è in questo istante; lo conosce come un mito. Anche per questo il legame con l’inconscio sovrapersonale o collettivo rappresenta un’estensione dell’uomo al di là di se stesso; significa morte per il suo essere individuale, ma rinascita in una nuova dimensione, quale era letteralmente rappresentata in alcuni antichi misteri”[11]. Jung si spinge addirittura oltre affidando all’inconscio dell’artista una missione davvero onnicomprensiva che include dunque anche il fenomeno religioso nel suo senso primigenio di religere (legare) l’uomo a Dio: “E’ certamente vero che, senza il sacrificio dell’uomo qual è, non si può arrivare all’uomo qual era (e quale sarà). Ed è l’artista che ci può dire molte cose sul sacrificio dell’uomo individuale, se non ci ritetniamo soddisfatti del messaggio evangelico”[12].

 

 

 

4. Conclusione


L’azione ekfrastica trascende una portata meramente letteraria in quanto non si limita a squadernare poeticamente simboli e significati di un determinato dipinto, ma fa scoprire al poeta lati nascosti del suo stesso inconscio, del suo stesso mondo interiore. In virtù della teoria dell’inconscio collettivo infatti, quei nuovi significati che ha scoperto nell’opera pittorica possono appartenere anche a lui, possono abitare anche il suo stesso inconscio. Egli però avrebbe potuto non averli mai visti, appunto perché inconsci, la sua azione ekfrastico-surrealista dunque gli permette di scoprirli: scoprendoli nel dipinto li riscopre anche in se stesso, ossia scopre nuovi lati di sé, sente familiari certi contenuti che non sapeva esistessero. Questa familiarità gli parla, gli racconta di contenuti che sebbene egli ne fosse stato fino a quel momento incosciente risiedono anche in lui.

Non sempre un’opera ci piace perché è “bella”, spesso ne siamo attratti ignorando il perché, quel perché risiede nei meandri dell’inconscio, collettivo in primis, individuale poi. Spesso opere con contenuti disturbanti, violenti o tristi possono attrarre la nostra attenzione, questo perché nel nostro inconscio possono esistere ferite di cui non sapevamo (ricordavamo) l’esistenza. Uno specifico quadro però ha il potere di riportarcele alla memoria, all’attenzione, al conscio.  L’ekphrasis surrealista va a configurarsi dunque quale strumento di indagine interiore.

 





 NOTE



 [1] ««Quel quadro!», esclamò il principe, colpito da un’idea subitanea. «Osservando quel quadro c’è da perdere ogni fede». «E infatti si perde», confermò Rogožin». Fëdor Dostoevskij, L'idiota, traduzione di Federigo Verdinois, Newton Compton Editori, Roma 2015, pp. 509.

[2] F. BATTIATO, Io chi sono?, cit., p. 32.

[3] F.BATTIATO, Tecnica mista su tappeto. Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini, EDT, Torino 1992, p. 113.

[4] A tale proposito Menegaldo afferma che la «descrizione verbale non mima l’opera, ma lo sguardo che percorre l’opera». P. V. Mengaldo, Tra due linguaggi. Arti figurative e critica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, p. 38.

[5] Il pittore Dino Valls ad esempio usa la tecnica junghiana dell’ “immaginazione attiva” grazie alla quale riesce a far emerge dal suo inconscio contenuti che poi dipinge. A tale proposito rimando al mio lavoro: Altered states of consciousness and the art: Dino Valls and the active imagination, Atti della Conferenza:  “Психотехники и измененные состояния сознания”, Russian Christian Humanitarian Academy, St. Petersburg, 2018.

[6] Cfr. A. Breton, Manifesti del Surrealismo, Einaudi, Torino 2003.

[7] Sul concetto di “matrimonio alchemico” in pittura si veda l’opera The Chemical Wedding (2006) di Madeline Von Foerster: http://www.madelinevonfoerster.com/art-2006-chemical_wedding.htm

[8] C. G. JUNG, The Archetypes and the Collective Unconscious, Princeton University Press, Princeton 1981, traduzione mia, p. 3.

[9] https://www.corriere.it/cultura/eventi/2011/secolo-poesia/notizie/manzoni-poesia-essere_af61a68e-2ccd-11e1-a06d-72efe21acfe6.shtml

[10] C. G. JUNG, Psicologia e poesia, trd. it. di G. Bollea, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 44.

[11] C. G. JUNG, La psicologia dell’inconscio, trd. it. di M. Cucchiarelli e C. Balducci,  Newton, Roma 2006, p. 142.

[12] Ibidem.

 



 

 

 

BIBLIOGRAFIA


 

F.BATTIATO, Tecnica mista su tappeto. Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini, EDT, Torino 1992

F. BATTIATO – D. BOSSARI, Io chi sono? Dialoghi sulla musica e sullo spirito, Mondadori, Milano 2009.

F.DOSTOEVSKIJ, L'idiota, traduzione di Federigo Verdinois, Newton Compton Editori, Roma 2015

C. G. JUNG, The Archetypes and the Collective Unconscious (Princeton: Princeton University Press, 1981).

C. G. JUNG, La psicologia dell’inconscio, trd. it. di M. Cucchiarelli e C. Balducci,  Newton, Roma 2006

C. G. JUNG, Psicologia e poesia, Bollati Boringhieri, Torino 2007.

P. V. MENEGALDO, Tra due linguaggi. Arti figurative e critica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005



Il linguaggio è stato dato all’uomo perché ne faccia un uso surrealista. 

André Breton.

Jorge Santos

Lucio Giuliodori